Come ogni anno, il primo venerdì di dicembre il Censis ha presentato il suo “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”. L’occasione è sempre un momento importante di riflessione sullo stato del nostro Paese (di cui, ovviamente, ci dimenticheremo presto).
Il Censis ci restituisce un quadro allarmante: l’Italia è sempre più in crisi nei suoi fondamentali: la dinamica demografica preoccupa molto, con il rischio di desertificazione di ampie zone e la caduta delle coorti anagrafiche più giovani, che non consentono un adeguato ricambio ed alimentano la rarefazione delle forze di lavoro. Così come deve destare molta preoccupazione la tenuta del welfare, a partire dalla sanità pubblica.
Il Rapporto ci segnala poi la crescente paura degli italiani per il futuro: crisi climatica, flussi migratori incontrollati, rischi ambientali, debito pubblico colossale. Questi scenari ipotetici, come dice il Censis, “paralizzano invece di mobilitare e generano inerzia dinanzi alla molteplicità delle sfide che la società contemporanea deve affrontare”. Questa emotività non si tramuta dunque in ricerca sistematica di soluzioni per il futuro.
Ma in Italia va tutto così male?
A mio modo di vedere questo è certamente il bicchiere mezzo vuoto, ma c’è anche un bicchiere mezzo pieno. L’occupazione continua a crescere, l’inflazione è al momento in regressione. Se poi andiamo a vedere la competitività del nostro Paese, scopriamo che l’Italia si colloca all’ottavo posto per export. Parliamo di 660 miliardi di euro, con una crescita del 13,8%. Germania (-2%), Francia (-4,7%) e Spagna (+7,6%) hanno risultati di gran lunga inferiori.
I settori in cui esportiamo di più: macchine per l’industria, medicinali, abbigliamento. Come si vede non stiamo parlando di food o del turismo, che pure rappresentano settori di una certa rilevanza.
Penso sia sempre più necessario avere la capacità di analizzare la nostra realtà a tutto tondo, con i suoi problemi (che non vanno sottovalutati), ma anche con i suoi punti di forza e le sue importanti potenzialità.
È necessario immaginare politiche capaci di far leva su questi elementi positivi, progettando un futuro meno nero di quello che troppo spesso viene dipinto.
Sono sempre più convinto che c’è una responsabilità della “società adulta” (nelle sue diverse articolazioni) nella narrazione che quotidianamente facciamo su noi stessi, sulla nostra società e sulla nostra economia.
Se continuiamo a dirci che tutto va male non si capisce come potremmo avere fiducia in noi stessi e nel nostro futuro.
Salvo Messina.
Presidente Solco