Nei giorni scorsi ha fatto grande scalpore la notizia che Amazon, a partire da gennaio 2025, imporrà ad un milione e mezzo di dipendenti in tutto il mondo di tornare a lavorare in ufficio per tutti i 5 giorni della settimana (con alcune eccezioni da definire di volta in volta), abbandonando così lo smart working.
Al di là delle critiche sollevabili sull’azienda, di certo non la si può accusare di scarsa attenzione alle innovazioni tecniche ed organizzative. Ed allora cosa segnala una decisione così forte? È l’inizio della fine dello smart working?
Anche in Italia alcune aziende hanno cominciato a riflettere su questi temi. Per fare gli ultimi esempi, Unipol (Gruppo di ben 12.000 dipendenti) ed il Gruppo Panini. In molte situazioni, in sostanza, si comincia a pensare di tornare indietro.
Come di frequente in questi casi, negli ultimi anni numerosi futurologi più o meno improvvisati si sono sperticati in previsioni ottimistiche, avvertendoci con la consueta sicumera che nulla sarebbe tornato come prima e che lavorare da casa avrebbe di colpo risolto tutti i nostri problemi (assenteismo, inquinamento, traffico).
È mia convinzione che sul tema non si siano fatte riflessioni compiute e che spesso le soluzioni identificate non abbiano affrontato alla radice i temi dell’organizzazione del lavoro e più in generale della qualità del lavoro e della vita. Forse non ci si è chiesti abbastanza cosa servisse all’azienda ed anche cosa fosse utile per il lavoratore. Ad esempio, offrire un solo giorno a settimana di smart working è una risposta a problematiche organizzative o un benefit per il lavoratore? Aspetto, questo, ovviamente da non sottovalutare.
Penso che le soluzioni non possono che essere trovate attraverso una seria analisi delle esigenze organizzative, da coniugare con i bisogni dei lavoratori. Senza approcci ideologici, un modello auspicabile è certamente quello ibrido e flessibile, anche in funzione del tipo di mansione. Se il proprio lavoro presuppone autonomia e concentrazione risulta più produttivo farlo da casa, ma se l’attività al contrario necessita di confronto, relazioni e messa in comune di competenze non c’è dubbio che vada preferita la modalità in presenza. Amazon ha scoperto che nei 3 giorni in presenza la produttività complessiva aumentava e ciò perché era più facile collaborare, fare brain-storming e confrontarsi sulle soluzioni.
In merito alle preferenze ed alle esigenze dei lavoratori, non vi è dubbio che risentono anche dei cambiamenti del significato assunto dal lavoro per ciascuno di noi. In anni passati, il dilemma sul privilegiare le esigenze aziendali oppure la qualità della vita delle persone non si sarebbe lontanamente posto. Oggi non è più così: i giovani, in particolare, chiedono un diverso equilibrio e la società nel suo complesso ne deve prendere atto. Le aziende hanno davanti la grande sfida di immaginare modelli organizzativi capaci di coniugare qualità del lavoro e qualità della vita.
Salvo Messina
Presidente Solco