Il Programma Garanzia occupabilità lavoratori (GOL) prevede una spesa di 4,4 miliardi di euro da investire nei prossimi anni (880 milioni per 300.000 ipotetici destinatari per l’anno in corso). Si tratta di uno sforzo realmente importante per realizzare interventi di politiche attive a favore di lavoratori disoccupati o di aziende in crisi. Sembra una buona notizia e certamente lo è, ma come si sta avviando il tutto?
Il programma è rivolto ai percettori della Naspi e del reddito di cittadinanza oltre che ai lavoratori in cassa integrazione. Questi lavoratori sulla base di una profilazione andranno collocati in uno dei 5 percorsi previsti secondo una ipotizzata distanza dal mercato del lavoro.
La collocazione in uno dei 5 percorsi rischia di risultare artificiosa oltre a rappresentare un lavoro improbo per i centri per l’impiego.
Tali percorsi devono, poi, essere implementati nei singoli piani regionali (approvati o in via di approvazione da Anpal) e qui, soprattutto nelle regioni del centro-sud, casca l’asino. Le strutture dei centri per l’impiego sono scarse e con professionalità degli operatori non sempre in linea con i compiti gli vengono assegnati.
Ma poi, siamo sicuri che serve nella pratica incasellare i possibili utenti? E come si pensa, per fare un esempio, di coinvolgere 33.000 destinatari in Sicilia nei Cpi da qui alla fine dell’anno? Oppure come si fa a profilare, sempre entro il 2022, 14.280 soggetti e avviarne 3800 alla formazione nei 16 Cpi dell’Abruzzo?
A fronte di tale questione mi preme porre l’accento su due questioni.
La prima riguarda l’assenza di un’analisi seria, da parte delle Regione, sul perché fino a oggi strutture e politiche pubbliche non abbiano mai realmente funzionato per provvedimenti precedenti come, ad esempio, il reddito di cittadinanza e lavoro. Di nuovo si analizza la situazione, senza fare i conti con la realtà ed è un peccato. Non si può certo sperare che assumendo 54 operatori come si sta facendo in Abruzzo si risolvano magicamente anni di quasi inefficienza.
La seconda questione: perché ci si ostina a lasciare al pubblico una serie di funzioni che potrebbero essere svolte anche dal privato come avviene, per esempio, in regioni come la Lombardia?
Come si vede resto piuttosto pessimista sulle capacità di iniziativa dei Centri per l’Impiego.
Non è più efficace, per dare risposte ai disoccupati, partire dalla domanda e non dall’offerta e avviare politiche che partano dalla domanda del sistema produttivo e sulla base di questa organizzare attività formative e di accompagnamento al lavoro?
Questo presupporrebbe un modello di intervento flessibile e non sottoposto a schemi, delibere, valutazioni che imbrigliano qualsiasi politica attiva. Forse si tratterebbe semplicemente di immaginare una formazione di base e poi rispondere a specifiche esigenze occupazionali.
Queste sono le mie soluzioni per risolvere queste problematiche, voi ne immaginate delle altre?
Salvo Messina,
Presidente Solco