Sempre più di frequente, quando si tratta di riforme in tema di occupazione si impiega la formazione professionale come intervento a supporto.
Basti pensare al reddito di cittadinanza, per citarne uno, nel quale l’obbligo di formazione è necessario a mantenere il sussidio, oppure alla formazione obbligatoria per i lavoratori messi in cassa integrazione, o a qualsiasi provvedimento del programma GOL.
Ho la netta impressione che la formazione sia diventata un ingrediente buono per condire ogni piatto, proprio come il prezzemolo.
Certo, non vi è alcun dubbio che c’è bisogno di formazione se si vogliono supportare i processi di transizione nei settori di sviluppo, oppure da un posto di lavoro ad un altro o anche nella stessa azienda, a seguito di cambiamenti produttivi o organizzativi.
Credo, però, che bisognerebbe pensare innanzitutto a strumenti flessibili di supporto a queste transizioni. Un soggetto può aver bisogno di formazione, un altro potrebbe aver bisogno di un accompagnamento al lavoro, in un altro caso ancora un affiancamento nello stesso posto di lavoro per acquisire capacità produttive specifiche.
Pertanto, come sostengo da sempre, se si vuole essere veramente incisivi diventa primario partire dalla domanda delle aziende bisognose di personale in cerca di nuova occupazione. Solo così si possono dare risposte concrete a chi è alla ricerca di un lavoro.
In caso contrario si finisce per sprecare risorse che potrebbero risultare importanti, senza ottenere risultati apprezzabili e facendo contemporaneamente crescere la frustrazione di chi è disoccupato o di chi il lavoro rischia di perderlo.
Salvo Messina,
Presidente Solco