I dati sull’andamento occupazionale di fine anno ci consentono di sviluppare alcune riflessioni sul nostro mercato del lavoro e di porci domande appropriate sull’argomento.
Intanto questi dati spazzano via luoghi comuni e posizioni aprioristiche su precariato e lavori a termine. Nel biennio 2021/2022 sono stati creati nel nostro Paese 2 milioni di nuovi posti di lavoro alle dipendenze nel settore privato, riassorbendo completamente la contrazione di personale causata dalla pandemia.
In questo quadro c’è da dire subito che i contratti a tempo determinato non superano il 16% del totale dei lavoratori alle dipendenze (percentuale molto più bassa di molti paesi europei) e che ben 440.000 (+68%) di tali contratti sono stati trasformati nel corso dell’anno in tempi indeterminati. Su questo punto si possono fare due osservazioni:
- Una certa crescita dei t.d. era stata determinata dall’incertezza del periodo pandemico, superato il quale si è tornati alle dinamiche ordinarie;
- il t.d. rappresenta, in molte situazioni, una modalità di inserimento che precede un’assunzione definitiva.
Certo, questo non vuol dire che non esistano situazioni di precarietà riguardo alla durata del rapporto di lavoro, o che in certi casi “ci si approfitti” di alcuni lavoratori, soggetti anche a forme di ricatto. Quello che vorrei, almeno su questo aspetto, sottolineare è che forse la vera precarietà si annida in tutte quelle forme di lavoro sommerso che sfuggono alle classificazioni e statistiche ufficiali.
A me piacerebbe che si discutesse sul lavoro povero, sul mancato rapporto tra domanda ed offerta, sulla bassa produttività del nostro sistema industriale e che si smettesse di cianciare su astratta precarietà o tirocini gratuiti (che non esistono).
Salvo Messina,
Presidente Solco