I temi dell’occupazione e delle politiche attive del lavoro dovrebbero essere al centro dell’attenzione dei decisori politici e dei tecnici. Ma quali riflessioni si fanno nel momento in cui si tenta di far decollare un programma come la Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori (GOL, con uno stanziamento di 4 miliardi in 4 anni) e si riforma il Reddito di Cittadinanza?
I nostri decisori dovrebbero intanto andare a leggersi i risultati del Work Programme del Regno Unito, considerato il modello di politiche attive più avanzato nel mondo occidentale. Ebbene, in un Paese molto meglio attrezzato di noi in quanto a intermediari pubblici e privati del mercato del lavoro, i risultati sono veramente sconfortanti. A fronte di un investimento governativo di 5 miliardi di sterline in 6 anni, meno del 4% dei soggetti presi in carico è stato collocato, con un elevato rischio del c.d. fenomeno di “parcheggio”.
In questo articolo si possono trovare ulteriori dettagli sul programma inglese.
Un importante insegnamento che possiamo trarre è che le politiche guidate dall’offerta, e non dalla reale domanda di lavoro, non funzionano. È il momento di prenderne atto. In larga parte, anche nei Paesi “più evoluti”, le politiche attive funzionano come fluidificante per le qualifiche medio/alte (riducono cioè il tempo di ricollocazione), mentre non hanno quasi impatto per le qualifiche medio/basse.
Venendo all’Italia e ragionando sulla domanda di lavoro, è il caso di partire dagli ultimi dati sull’occupazione. Siamo in presenza di un fabbisogno inevaso; si parla, forse non a sproposito, di un milione di posti di lavoro non coperti. L’occupazione, tra marzo ’22 e marzo ’23, è cresciuta di 297.000 unità, con una crescita del 2,4% dei tempi indeterminati ed una riduzione del 2,7% dei tempi determinati. Se a questo si aggiunge che nell’anno appena trascorso si sono registrate 420.000 trasformazioni in contratti a tempo indeterminato, abbiamo la dimostrazione che non solo la precarietà non aumenti, ma che addirittura le aziende stiano offrendo contratti “più garantiti”, proprio per la domanda di lavoro in espansione.
E dunque, in questo contesto, cosa dovrebbero fare le politiche attive? Evitando di dipendere eccessivamente dai servizi e dall’offerta degli operatori, bisognerebbe coinvolgere in modo diretto le aziende con fabbisogno di manodopera, ideando progetti mirati, flessibili e veloci. Anche per piccolissimi numeri. Questo vorrebbe dire, in concreto, formazione, supporto nell’inserimento e forme di mentoring. Al proposito, che fine ha fatto la piattaforma MOO (Mappatura Opportunità Occupazionali) ideata dai Navigator e sviluppata da Anpal? Il fine era proprio quello di registrare in tempo reale le effettive esigenze occupazionali a livello territoriale, a partire dalle quali offrire servizi su misura a chi cerca lavoro. Non contributi per l’assunzione (che non producono alcuna occupazione), non formazione decontestualizzata come quella immaginata dal programma GOL, ma risorse per finanziare singole azioni, mirate e verificabili.
Salvo Messina,
Presidente Solco