Nel suo ultimo rapporto, lo SVIMEZ ha sottolineato come il lavoro povero si concentri soprattutto al Sud, determinando un crescente numero di famiglie povere. Nel Sud il lavoro aumenta, ma risulta quasi sempre di bassa qualità, dunque con bassi salari e/o con poche ore lavorate nella giornata o nella settimana. Quali sono le cause e quali le politiche possibili per contrastare un simile fenomeno socio-economico? La tentazione è quella di attribuire tutto ciò ad una maledizione divina abbattutasi sul nostro Mezzogiorno. Al contrario, è più che mai urgente scandagliare in profondità i fattori determinanti.
Una prima considerazione è che parte di questi scarsi salari sia dovuta alle caratteristiche dei settori di riferimento, accomunati dal basso valore aggiunto; saremmo in presenza di settori che pagano poco poiché a monte creano poca ricchezza. Un esempio frequente è quello dell’agricoltura, ma anche altri settori dei servizi possono annoverarsi tra quelli che creano pochi profitti. Altra considerazione riguarda gli imprenditori: siamo in presenza di datori di lavoro predatori che si approfittano della scarsità di lavoro per imporre salari troppo bassi? A mio modo di vedere, entrambe le situazioni sono ammissibili. Sarebbe necessario operare da un lato per perseguire chi sfrutta i lavoratori e dall’altro lato immaginare politiche di stimolo allo sviluppo non solo nelle città del Mezzogiorno, ma anche nelle zone interne, dove spesso sono allocate risorse scarsamente valorizzate.
Ulteriore elemento da non sottovalutare riguarda un fattore fondamentale per spiegare il lavoro povero: la bassa intensità lavorativa, con particolare attenzione al part-time involontario. Anche in questo caso si tratterebbe di scavare un po’ di più: il part-time è da considerarsi strutturale e dunque difficilmente modificabile (le pulizie si possono fare solo in alcune ore), oppure è determinato esclusivamente da scelte organizzative (ad esempio in alcuni settori dei servizi)? Nel primo caso, si tratterebbe di pensare a politiche del lavoro che facilitino l’integrazione tra occupazioni anche diverse nella giornata o nella settimana; nel secondo caso, la contrattazione dovrebbe porre con maggiore forza la necessità di prolungamento dell’orario di lavoro. In ogni caso, penso che nel territorio si dovrebbero immaginare politiche specifiche, articolate in scelte economiche mirate accompagnate da politiche attive del lavoro quali il programma GOL o le misure finanziate dal FSE+, volte ad accrescere la professionalità di lavoratori e dunque la loro competitività nel mercato del lavoro e nella negoziazione con i propri datori di lavoro. Al contrario, nulla di tutto questo si vede all’orizzonte e gli stessi strumenti di politica attiva finiscono per assumere mere funzioni assistenziali.
Salvo Messina.
Presidente Solco