Il recente Focus di Censis e Confcooperative ci fornisce alcuni dati interessanti sul nostro mercato del lavoro in relazione al PIL.
In buona sostanza, se riuscissimo a coprire tutti i posti di lavoro vacanti avremmo un PIL maggiore. Secondo stime Censis, nell’anno in corso sarebbero ben 316.000 le posizioni rimaste scoperte, con un tasso di mancata copertura che nel secondo trimestre ‘23 avrebbe raggiunto la considerevole cifra del 2,3%. Percentuale che, come immaginabile, varia significativamente tra i settori, raggiungendo il 3,1% nelle costruzioni e il 3,7% nei servizi di alloggio e ristorazione, mentre è ben sotto la media nel settore energetico e nei trasporti (poco superiore all’1%).
Un altro dato riportato nel Focus conferma quanto da noi sostenuto sulle grandi dimissioni, ossia che non esistono come tali: nel 2022, 7 “dimissionari” su 10, infatti, si sono ricollocati nei tre mesi successivi, oltretutto in aumento rispetto al 2021 e al 2019. Non a caso, il settore che rileva la minore coerenza di ri-collocazione – servizi di alloggio e ristorazione, dove la metà dei dimissionari cambia ambito di attività – è anche lo stesso che lamenta la maggiore difficoltà nel reperimento di personale.
Sulle ragioni delle problematiche connesse al mancato incontro tra domanda e offerta ci siamo soffermati diverse volte: scarsa qualità del lavoro offerto e dunque bassa attrattività di determinati settori, incapacità e/o riluttanza delle imprese più piccole ad accedere a canali di reclutamento sofisticati, difficoltà della rete dei Centri Per l’Impiego ad intercettare ed intermediare domanda ed offerta locale, mutata cultura del lavoro negli ultimissimi anni, cambiamenti strutturali della composizione demografica italiana.
Di fronte a una tale complessità, nonché all’impatto che simili fenomeni hanno per la sostenibilità economica e sociale del paese, rilevo con grande stupore quanto spesso ci si fermi alla semplice analisi dello stato dell’arte. Se questo è del tutto legittimo per Censis (o ISTAT), non dovrebbe esserlo per un’Associazione che rappresenta le imprese (nel caso del Focus citato, le cooperative). Sembra come se ci trovassimo di fronte ad eventi lontani che possiamo al massimo osservare, senza riuscire a fare nulla.
Mi aspetterei invece che Confcooperative, così come tutti gli attori della rappresentanza, proponesse qualche soluzione sulla base di queste analisi, elaborando rivendicazioni da fare alla politica. Forse qualcosa si fa, ma sarebbe di grande utilità farne conoscere i contenuti e i risultati.
Personalmente sono convinto che il mancato incontro tra domanda ed offerta e le centinaia di migliaia di posti scoperti rappresenti forse uno dei più grossi “delitti” della nostra società ed il fatto che non sembra interessare nessuno mi appare veramente assurdo.
Salvo Messina.
Presidente Solco