Di fronte all’ultima classifica sulla diffusione della formazione continua in Europa, riflettevo sul fatto che qualsiasi graduatoria ci vede quasi sempre agli ultimi posti. Per fare qualche esempio: tassi di occupazione (in particolare quelli femminili), salari mediani, indagine Pisa sulle competenze dei nostri studenti, formazione per l’appunto, e si potrebbe continuare ancora a lungo.
Se però andiamo a vedere come va il Paese, scopriamo che le esportazioni (non di beni alimentari, ma di prodotti tessili e della meccanica, per fare solo qualche esempio) sono posizionate nei primi posti, l’occupazione continua a crescere ed i settori come il turismo registrano performance rilevanti. Siamo decisamente uno strano Paese: rimaniamo agli ultimi posti in quasi tutte le classifiche, ma continuiamo a crescere. Come è possibile? Dare una risposta a questo quesito potrebbe essere decisivo per il futuro e lo sviluppo.
Ma ci si prova? Io non credo. Infatti, alla pubblicazione dell’ennesima classifica negativa ci si straccia le vesti, si riempie qualche pagina di giornale, se ne parla in televisione con l’esperto di turno e via verso la prossima classifica negativa.
È sorprendente come a valle di queste letture poco invidiabili non succeda praticamente nulla. Così, solo per fare l’ultimo esempio, i dati sulla formazione degli adulti ci rivelano che nel 2022 (ultima rilevazione Istat) solo un terzo di essi ha partecipato ad un corso di formazione; la media europea è superiore di ben 11 punti percentuali. Ed è sorprendente che a partecipare ad attività formative sono gli individui con maggiore istruzione, dunque non chi ne avrebbe più bisogno. Se poi ci riferiamo ai giovani, scopriamo che solo uno su cinque ha partecipato ad un corso, a differenza di uno su tre della media europea.
Ma il tema forse più inquietante è che la formazione rivolta a chi è temporaneamente fuori dal mercato del lavoro (pensiamo ad esempio al programma GOL) spesso non è di qualità e non finalizzata a posti di lavoro specifici. In Italia ci siamo inventati i corsi per l’occupabilità, che dovrebbero migliorare le possibilità di impiego dei destinatari, ma in astratto. Così si finisce per giustificare attività formative che molto spesso sono utili solo per chi li organizza.
Leggere questi dati non dovrebbe solo farci saltare sulla sedia, ma cominciare a cambiare rotta, con interventi mirati ed articolati nei diversi territori.
Salvo Messina
Presidente Solco