La pubblicazione dell’indagine Employer Brand Research di Randstad ci dà l’opportunità di tornare su un tema a noi molto caro: il lavoro, il suo valore e le nuove aspettative degli individui su esso.
La ricerca è stata effettuata in 32 paesi, con 173mila interviste in più di 6mila aziende. I risultati non sono sorprendenti, ma confermano una linea di tendenza ormai sempre più consolidata: i lavoratori italiani ricercano in via prioritaria maggiore equilibrio tra vita e lavoro. L’attività professionale non viene più considerata totalizzante e, volendo, identitaria. Al secondo posto, i lavoratori cercano un clima lavorativo piacevole (aspettativa questa fortemente collegata alla prima). Solo al terzo posto troviamo la retribuzione ed i benefit. Dunque, se si cerca altrove il proprio lavoro lo si fa tendenzialmente non tanto per i soldi, ma per il rapporto con l’azienda e con il proprio equilibrio vita/lavoro.
Altro aspetto che può apparire strano è che sono proprio i giovani ad essere sempre meno interessati alla sicurezza del proprio posto di lavoro. Paradossalmente, sono i datori di lavoro ad essere più interessati ad offrire contratti stabili, anche a causa della difficoltà a trovare lavoratori qualificati per molti profili professionali. Da questo punto di vista, le battaglie contro il cosiddetto precariato assumono meno rilevanza: in Italia, i problemi sembrano altri, ad esempio il lavoro povero o il part-time involontario.
Ma il tema della qualità del lavoro, a mio modo di vedere, andrebbe connesso con il crescente rifiuto dei posti di lavoro nei settori del terziario e del turismo. Basta fare una passeggiata nel centro di Roma per leggere una miriade di cartelli affissi alle vetrine che annunciano la ricerca di personale.
Possiamo leggere in tutto questo un crescente malessere verso forme di lavoro poco rispettose dei tempi di vita, della qualità del lavoro e delle condizioni delle prestazioni richieste. Ma allora che fare? Forse bisognerebbe tirar fuori la testa della sabbia e cominciare a darsi progetti reali capaci di dare risposte plausibili. La politica, piuttosto che bearsi di risultati positivi in termini di crescita dell’occupazione – dei quali peraltro non ha alcun merito – dovrebbe immaginare momenti di confronto con le diverse parti interessate (non ultimi gli stessi lavoratori) e provare ad elaborare soluzioni e strategie di merito, che generino una nuova cultura del lavoro.
Salvo Messina
Presidente Solco