Il Sole 24 Ore ci informava giorni fa che l’Italia restituirà alla Commissione Europea ben 160 milioni di euro non spesi del programma Garanzia Giovani. Si tratta del programma di supporto ai celebri Neet (giovani che non lavorano e non sono impegnati in percorsi di istruzione/formazione) per favorirne l’ingresso nel mercato del lavoro.
Questo risultato, tra l’altro, si otterrebbe a seguito del trasferimento ad altri programmi di circa 500 milioni di euro, pratica molto diffusa in Italia. Senza questo escamotage la nostra restituzione avrebbe raggiunto la ben più significativa cifra di 690 milioni di euro. Andando poi a vedere come sono state spese le risorse impegnate, si scopre che solo il 30% dei giovani coinvolti nel programma ha ricevuto risposte positive nel supporto all’inserimento lavorativo. Ma il dato che più dovrebbe farci riflettere è che circa il 60% dei giovani avviati al lavoro aveva un titolo di studio elevato (laurea) ed ha trovato un impiego nel Centro/Nord. Vogliamo dirci, fuori dai denti, che questi soggetti avrebbero trovato lavoro anche senza Garanzie Giovani? E che dunque le risorse sono state utilizzate dalle imprese – comprensibilmente – per ridurre il costo del lavoro? In buona sostanza, queste politiche non hanno funzionato dove ce n’era maggiore bisogno e per le fasce più deboli. Parlare di fallimento delle politiche del lavoro, per come le conosciamo, non dovrebbe più essere un tabù.
Ma come potremmo indirizzare questo tipo di programmazione pubblica per favorire chi fatica di più a trovare un impiego? Ad esempio partendo dai dati e dalle evidenze sul mercato del lavoro, sebbene il quadro delle fonti informative in Italia non sia così rassicurante, come evidenziato da Emiliano Fedeli in una newsletter di qualche settimana fa. Ad ogni modo, una prima risposta può venire dai rapporti pubblicati ciclicamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulle Comunicazioni Obbligatorie (le comunicazioni che ogni azienda deve trasmettere quando assume o cessa un rapporto di lavoro). Ad esempio, essi forniscono informazioni preziose sulle qualifiche professionali più richieste dalle imprese, che potrebbero essere utilizzate per programmare la formazione rivolta ai disoccupati, nonché gli interventi di riqualificazione per chi è in transizione lavorativa.
Altro caso virtuoso è quello dell’Osservatorio curato dall’Ente Bilaterale del Terziario del Lazio insieme all’Università Roma Tre, che elabora scenari occupazionali nel settore terziario proprio a partire dalle Comunicazioni Obbligatorie. Anche in questo caso, le informazioni rilevate, oltretutto circoscritte ad un settore ed al territorio laziale, sarebbero state di grande utilità nel programmare interventi quali Garanzia Giovani; questo avrebbe generato progetti saldamente ancorati alle esigenze reali del mercato del lavoro, e dunque più efficaci, evitando approcci burocratici e lentissimi che non hanno portato alcun vero impatto positivo.
Salvo Messina
Presidente Solco