Il valore del lavoro e la sua identità stanno diventando sempre più centrali nelle società avanzate. Siamo, quasi senza accorgercene, passati dal secolo del lavoro (il novecento) ai lavori del duemila, alla domanda di un diverso equilibrio tra lavoro e vita.
Nella sostanza sembra che il lavoro stia via via perdendo la sua centralità nella vita delle persone. E c’è da chiedersi come questi fenomeni incidono o possono incidere nell’organizzazione aziendale e nei processi di sviluppo.
La rivoluzione industriale del novecento aveva sostanzialmente contribuito in maniera determinante a definire il lavoro e le sue caratteristiche (durata, salario, etc.), tanto che si è cominciato a parlare di lavoro standard normato dai contratti collettivi e dal diritto del lavoro.
È anche attraverso questa via che il lavoro è diventato un fatto identitario. Si conquistava una collocazione sociale (nella scala) sulla base del proprio lavoro e del relativo reddito.
Quando il lavoro ha cominciato a perdere questa sua essenziale caratteristica e a diventare in qualche caso solo un mero strumento di sopravvivenza, senza alcuna forma di identificazione con esso e con l’azienda a cui si prestava la propria collaborazione?
E poi forse la crescente difficoltà a coprire posizioni lavorative nei servizi, in particolare, non potrebbe avere, anche, origine nella non identificazione con un lavoro che si ritiene non solo faticoso, ma anche privo di senso per la propria vita?
Queste sembrano tematiche che poco hanno a che fare con il quotidiano delle nostre aziende, ma comincio a pensare che non sia così.
Per le aziende si porrà sempre più la necessità di valutare se la propria cultura aziendale e la propria organizzazione produttiva rispondono ad una domanda nuova di senso del proprio essere lavoratore. Se si sta ponendo la giusta attenzione al ruolo, all’apporto, all’autonomia ed ai benefit e più complessivamente a quello che possiamo definire “clima aziendale”.
Forse si tratta di lavorare su concetti che sembrano un po’ obsoleti, quali il senso di appartenenza, di identificazione con la propria azienda, dell’essere riconosciuti come persone a tutto tondo (bisogni anche extra aziendali, crescita professionale, formazione continua).
Come ben sappiamo la cessazione dei rapporti di lavoro solo per un piccolissimo numero è causato da licenziamenti, mentre la quasi totalità è determinata da dimissioni volontarie e nella gran parte per andare a lavorare da un’altra parte. Cioè il lavoratore cerca di trovare contesti più rispondenti alle proprie esigenze.
Non porsi queste domande potrebbe risultare letale per le nostre imprese: impegnarsi, certamente per le innovazioni produttive con l’adozione di tecnologie più efficienti, ma non dimenticare il ruolo e l’importanza delle proprie risorse umane.
Salvo Messina
Presidente Solco