La lettura del recente articolo di Simone Cerlini sul bollettino ADAPT non fa che confermare quanto sosteniamo da tempo: nelle politiche del lavoro, il ruolo dei Centri per l’Impiego (CPI) ha progressivamente accentuato una deriva burocratica e formalistica. Tale denuncia acquista ancora più peso se si considera che a formularla è il Capo Divisione Lavoro di AFOL Metropolitana, l’agenzia formativa e per il lavoro dei servizi pubblici della Città Metropolitana di Milano, e non, quindi, un esponente della “concorrenza” privata.
Per chi, come noi, ricorda il ruolo e le modalità operative – marcatamente burocratiche, specie negli ultimi anni – degli Uffici di Collocamento, antenati dei CPI, la situazione attuale non sorprende: sembra quasi una prosecuzione della tradizione. Le procedure e gli strumenti, definiti a livello centrale, impongono un’uniformità rigida a tutti gli uffici periferici. Ai funzionari dei CPI si richiede di aderire scrupolosamente a percorsi prestabiliti nella gestione del singolo utente. Di fatto, l’impiego massiccio dell’informatica e di algoritmi standardizzati frammenta la presa in carico e l’erogazione del servizio in micro-processi, da confinare entro moduli e schermate predefinite, che si traducono in micro-servizi di base, noti come Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP).
Cerlini giustamente sottolinea come “Siamo di fronte alla semplificazione delle mansioni in atomic task…”, con la conseguente e completa dequalificazione dell’operatore. Lo stesso Cerlini evidenzia inoltre il paradosso per cui “l’amministrazione costringa professionisti dell’inserimento lavorativo ad utilizzare procedure formalizzate e a non potersi affidare ai propri strumenti, spesso più efficaci e di maggiore qualità”.
A questo quadro si aggiunge la constatazione che molte Regioni, pur disponendo di risorse dedicate, non hanno avviato o portato a termine le procedure per l’assunzione di nuovi operatori. A tali figure professionali potrebbero, almeno in teoria, essere affidati compiti specifici, mirati al supporto delle fasce più vulnerabili della popolazione attiva.
Ciò che, in ogni caso, colpisce è la grande difficoltà dei servizi pubblici per il lavoro di farsi autenticamente carico della persona e la mancata adozione di strumenti adeguati di accompagnamento al lavoro. Ogni individuo è portatore di bisogni unici e competenze specifiche, spendibili nel mercato del lavoro, che mal si conciliano con l’applicazione di strumenti rigidi e impersonali. Un servizio realmente utile dovrebbe, al contrario, essere in grado di progettare percorsi individualizzati e flessibili. Invece, l’intero sistema delle politiche attive del lavoro sembra strutturalmente incline a trascurare la centralità della singola persona.
Un esempio emblematico è riscontrabile nell’utilizzo del sito SIILS per la gestione dei percettori di NASPI o di coloro che necessitano di supporto per la formazione e il lavoro. L’utente è chiamato a gestire autonomamente l’intero processo – dalla compilazione e caricamento del CV all’interazione con la piattaforma – tramite SPID o carta d’identità elettronica. Proprio questi individui, spesso in condizioni di fragilità, avrebbero invece un impellente bisogno di essere convocati dal CPI territoriale e supportati attivamente, sia nella gestione degli aspetti burocratici sia nell’avvio di un concreto percorso di accompagnamento. Al contrario, vengono abbandonati al proprio destino, alle prese con le complessità di una piattaforma digitale.
Recentemente ho incontrato un consigliere di un Municipio di Roma, con delega alle politiche sociali, e mi ha molto sorpreso sentire: “Io non utilizzo mai i canali pubblici, Comune di Roma incluso, perché rappresentano solo una perdita di tempo. Per le mie attività sociali a favore dei più deboli, mi affido al volontariato, alle associazioni no profit e alle risorse concrete presenti sul mio territorio”.
Temo che, questo discorso, possa essere esteso anche ai servizi del lavoro.
Salvo Messina
Presidente Solco