La pubblicazione del terzo Rapporto Inapp sui tirocini ci consente di fare qualche riflessione sull’uso di questo strumento. I dati, che comprendono il periodo del triennio 2019/21, indicano che nonostante il blocco della somministrazione per un periodo significativo a causa della pandemia, sono stati avviati nel nostro Paese 910.000 tirocini extra curriculari. Di questi la gran parte, il 60 % del totale, ha interessato i disoccupati compresi tra i 20 ed i 29 anni.
Un ulteriore dato da evidenziare è quello che riguarda le donne avviate al tirocinio: infatti rappresentano il 49,6%, ma se si togliessero i tirocini per qualifiche basse (appannaggio quasi tutti di uomini) ci troveremmo di fronte ad una maggioranza ben più significativa in particolare nei settori dei servizi e del terziario. In ultimo va sottolineato che per circa 300.000 dei fruitori si è trattato del primo ingresso nel mondo del lavoro e che ha rappresentato anche per una popolazione adulta uno strumento importante per ricevere un’offerta di lavoro.
Certo, conosco bene le obiezioni sull’uso dello strumento, ma vorrei sottolineare il fatto quanto sia importante che questo in molti casi rappresenti una modalità, diciamo, meno impegnativa di primo inserimento senza la quale probabilmente a molti sarebbe preclusa questa opportunità.
D’altra parte se andiamo ad analizzare gli esiti occupazionali dopo il tirocinio scopriamo che per il 40% dei fruitori a un mese della sua conclusione, che arriva al 48,9% dopo sei mesi, il rapporto viene trasformato in contratto di assunzione. Nel sud questa percentuale è minore (a sei mesi il tasso di inserimenti è del 41,6%) ma resta in ogni caso importante. Per le qualifiche più alte, invece, il tasso di inserimenti arriva dopo 6 mesi al 58%.
Il rapporto ci dà poi tutta un’articolazione sui risultati nei singoli settori.
Io penso che si possono, anzi si dovrebbero, fare riflessioni un po’ più articolate sull’uso di questo strumento come elemento di formazione in contesti lavorativi, ma anche e soprattutto per l’inserimento nel mondo del lavoro. C’è chi mette l’accento sulla prima funzione e chi sulla seconda. Personalmente credo che si dovrebbe certamente contrastare l’uso improprio che qualcuno ne fa, e semmai rafforzarne il ruolo formativo, senza dimenticare la funzione di inserimento che via via ha finito per assumere.
Salvo Messina,
Presidente Solco