A chi come noi si occupa da sempre di politiche e servizi per il lavoro non saranno sfuggite due questioni affrontate dai giornali negli ultimi giorni.
Prima questione.
L’Istat ci ha informato che nel mese di novembre l’occupazione è continuata a crescere, raggiungendo livelli pre-Covid. Gli occupati raggiungono i 23.743.000, con un aumento di 30.000 unità su base congiunturale (ottobre ’23) e di 520.000 unità su base tendenziale (novembre ’22), portando il tasso di occupazione al 61,8%. Secondo il Presidente della commissione lavoro della Camera, Walter Rizzetto, il risultato sarebbe da attribuire all’azione dell’attuale Esecutivo: “il governo Meloni sta lavorando in maniera efficace ed efficiente. Gli obiettivi che c’eravamo prefissi li stiamo raggiungendo con impegno e dedizione”.
Intanto si potrebbe osservare che questi risultati continuano a mostrare ritardi significativi per ciò che riguarda donne e giovani (i rispettivi tassi di occupazione rimangono tristemente bassi) e che non si conoscono interventi mirati a contrastare queste carenze, al di là dei soliti ed inefficaci incentivi alle assunzioni.
I governi che si sono alternati nel nostro Paese si fregiano dei risultati positivi dell’andamento dell’occupazione – salvo a tacere quando i dati sono negativi – ma si dimenticano di dirci quali politiche specifiche avrebbero consentito un tale risultato. A nostra memoria non ci pare di rilevarne alcuno, tanto sul versante macro quanto micro-economico. A me pare che il risultato debba essere semmai ascritto alla capacità di iniziativa del sistema produttivo.
Seconda questione.
Qui ci concentriamo sulla Regione Lazio. I dati Excelsior ci dicono che nel 2024 dovremmo registrare 140.000 nuove assunzioni, di cui ben 53.000 nel solo mese di gennaio. A fronte di questo dato positivo ci si affretta a dire che il 40% de profili risulta di difficile reperimento. Luca Barrera (della CNA di Roma, l’Associazione degli artigiani) si chiede come mai i giovani preferiscono lavoretti a lavori a tempo indeterminato e ben retribuiti. La cosa appare decisamente bizzarra. Forse sarebbe il caso che le Associazioni dei datori di lavoro e le stesse imprese si interroghino seriamente sul crescente rifiuto di alcune professioni: condizioni di lavoro, turni, retribuzioni? Non se ne discute molto.
Un altro aspetto attiene alle necessarie competenze per poter essere assunti. Qui si brancola nel buio più totale. Lo stesso Giuseppe Biazzo, vice presidente Confindustria del Lazio con delega al capitale umano, ci dice che dovremmo puntare sugli Istituti Tecnici Superiori (ITS) e sulle Academy delle aziende; si dimentica però che per quanto attiene ai primi, se tutto va bene ne potremo parlare almeno tra 5 anni, mentre le seconde potranno dare risultati molto limitati.
Dunque cosa fare? Io credo che bisognerebbe immaginare un tavolo regionale in cui coinvolgere tutti gli attori (imprese, Agenzie formative, APL e sistema scolastico) per elaborare risposte ad ampio spettro. La Regione dispone di strumenti e risorse che, se utilizzati correttamente, potrebbero offrire soluzioni nel breve termine alla crescente domanda di lavoro specialistico. Per molte qualifiche basterebbero percorsi formativi di durata limitata, accompagnati da modalità di inserimento ad hoc quali l’apprendistato, sul quale serve un approccio più serio e maturo.
Salvo Messina.
Presidente Solco