In questi ultimi giorni sta conquistando le prime pagine delle sezioni economiche il tema delle dimissioni volontarie, che hanno raggiunto la significativa cifra di 2 milioni con un incremento del 33% rispetto all’anno precedente. Analizzando le motivazioni di questa impennata, in parte potremmo considerare il fatto che la pandemia aveva un po’ bloccato il mercato del lavoro e che la ripresa ha riaperto anche questo tipo di movimenti. Inoltre, le dimissioni sono sempre state presenti come modalità di cessazione del rapporto di lavoro. Ma allora che cosa sta cambiando, ammesso che qualcosa stia cambiando davvero?
Le cessazioni dei rapporti di lavoro sono costituite per il 67% proprio dalle dimissioni, e questo è un dato da sempre, infatti sono sempre state molto di più le dimissioni che i licenziamenti. Altro elemento rilevante è che la gran parte delle dimissioni sono da imputare al passaggio da un posto di lavoro ad un altro.
Cresce infatti la mobilità nel mercato del lavoro e incide anche il fatto che per molte qualifiche la domanda è molto più alta dell’offerta. Leggiamo ogni giorno che per molte qualifiche non si trovano lavoratori e dunque in questo contesto aumenta la concorrenza tra le imprese.
Ma tutto questo che cosa segnala alle imprese?
Intanto devono domandarsi se fanno davvero tutto il possibile per trattenere le migliori risorse. Tutte le ricerche dimostrano che la prima ragione per cui si va via da un posto di lavoro è rappresentata dal rapporto con il capo (dove capo sta per azienda) e che la remunerazione è solo al terzo posto.
Come lavoriamo e cosa facciamo per rendere il nostro luogo di lavoro attraente? Siamo sicuri che non ci sia un crescente disallineamento tra valori, missione della nostra azienda e valori ed aspettative dei nostri collaboratori?
Salvo Messina,
Presidente Solco