Ieri il Sole 24 Ore ha dedicato ben due pagine (la seconda e la terza) ai mutamenti sostanziali del nostro mercato del lavoro. L’aspetto più rilevante è relativo alla costante riduzione del numero degli occupati under 34: in 20 anni i soggetti occupati di questa fascia d’età si sono ridotti di oltre 2 milioni. Questo dato è stato ampiamente compensato dagli occupati over 50 (oltre 4 milioni in più). Nei fatti la popolazione lavorativa invecchia e questo crea seri problemi, ad esempio nella propensione alle innovazioni, sia sul versante digitale che su quello della transizione ecologica.
Nei giorni scorsi anche altri dati hanno acceso qualche serio campanello di allarme sullo stato della nostra economia e sul futuro del nostro Paese: Pil quasi a 0, aumento significativo del ricorso alla cassa integrazione, diminuzione costante delle imprese del settore manifatturiero (-59mila in 5 anni). Chiudono in particolare le imprese artigiane e le società di persone, che hanno rappresentato per decenni il tessuto connettivo del nostro sistema economico.
Nonostante questo, come sappiamo l’occupazione continua a crescere, quasi esclusivamente nei settori del terziario e dei servizi. Quello che tende a crescere, dunque, in molti casi è un lavoro povero e magari poco qualificato. Mi sembra di poter dire che tutto questo avviene in maniera spontanea e senza alcun governo; non abbiamo infatti alcuno straccio di politica industriale (come sosteniamo veramente il tessuto produttivo?) e non abbiamo politiche del lavoro e della formazione.
Se è vero che nel mercato del lavoro entrano sempre meno giovani, cosa facciamo per migliorarne le competenze e connetterli più efficacemente con le imprese che continuano a denunciare una crescente carenza di offerta qualificata di manodopera?
Assistiamo al contrario all’ennesimo avvio di incentivi economici per le assunzioni a tempo indeterminato. La Ministra del Lavoro ci informa che con questi interventi si creeranno 180mila nuovi posti di lavoro. Ma tutti ormai sanno bene che gli incentivi non possono creare nuovi veri posti di lavoro. Citavamo nei giorni scorsi il giudizio sul tema dell’Inapp (Agenzia del Ministero del Lavoro, tra l’altro), che recitava: “[…] è d’uopo ricordare come numerosi studi concordino sul fatto che la maggior parte degli incentivi all’assunzione (nel settore privato) abbiano un effetto moderato, se non addirittura nullo, sulla crescita netta dell’occupazione”. Verrebbe da chiedersi se la Ministra legga quello che la sua Agenzia scrive. Che l’incentivo non crei da sé nuova occupazione è dimostrato, da ultimo, dal fatto che è possibile richiederlo per le assunzioni attivate a partire da settembre 2024, ben prima dell’approvazione del provvedimento.
Sarebbe più corretto definire gli incentivi come aiuti diretti alle imprese che assumono (una sorta di premio), mediante la riduzione – temporanea – del costo del lavoro, oppure come stimolo per l’emersione di sacche di lavoro nero; di certo, non una misura per creare nuova occupazione. Per aiutare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro ci vorrebbe ben altro.
Salvo Messina
Presidente Solco