di Emiliano Fedeli
Mettiamoci nei panni di una qualsiasi Regione italiana alla prese con la programmazione delle risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE), che debba individuare gli ambiti professionali su cui incentrare gli interventi di politica del lavoro; oppure nei panni di un ente formativo che voglia aggiornare la propria offerta rivolta agli individui in disoccupazione; immaginiamo invece di essere un sindacato o una associazione datoriale che debba pianificare un intervento di riqualificazione mediante accordo di transizione a fronte di una crisi industriale; infine, ipotizziamo di essere un/a lavoratore/ice in procinto di cambiare lavoro che voglia orientarsi tra le professioni e le competenze in ascesa.
Le diverse situazioni presentate sono accomunate da una esigenza: disporre di fonti informative affidabili, esaustive ed aggiornate sul mercato del lavoro, in grado di fotografare l’esistente ed individuare trend recenti e possibili evoluzioni. La capacità di analizzare i cambiamenti nella domanda di competenze e professioni è divenuta una priorità di assoluta rilevanza, tanto da essere inclusa tra le 12 iniziative chiave dell’Agenda europea per le competenze. Ciò è comprensibile in virtù del ruolo abilitante di tale capacità per la competitività dei singoli Stati e dell’UE.
Una simile indagine del mercato del lavoro si basa su classificazioni condivise delle professioni e delle competenze e su una serie di metodologie di analisi dei dati. E proprio qui sta il problema. In Italia, negli anni si è assistito ad una proliferazione di tassonomie e di modelli di indagine, proposti in primis dalle istituzioni, che presentano diverse criticità: ridondanza e sovrapposizione di professioni e competenze, difficile interoperabilità dei sistemi, adozione differenziata e non coordinata nelle pubblicazioni istituzionali, con il conseguente spiazzamento dei soggetti e degli operatori – ne abbiamo indicati alcuni in apertura – che di tali sistemi dovrebbero servirsi. Manca insomma un modello unico, o quanto meno integrato, in grado di fotografare in modo esaustivo lo stato dell’arte ed informare coerentemente le politiche formative e del lavoro. Ma vediamo nel dettaglio le fonti informative esistenti e le principali criticità.
LE CLASSIFICAZIONI DELLE PROFESSIONI E DELLE COMPETENZE
L’Istat gestisce il sistema italiano di Classificazione delle Professioni (CP). La tassonomia segue fedelmente il sistema internazionale ISCO (che consente la comparabilità dei dati) ed offre una esaustiva mappatura dell’ecosistema occupazionale, comprendendo ben 813 esempi di professioni. Tuttavia, essa non fornisce le conoscenze e le competenze associate a ciascuna professione, risultando incompleta per gli operatori del mercato del lavoro. A ciò si aggiunge il disorientamento dovuto alla ridondanza di profili professionali affini. Infine, il sistema prevede tempi molto lunghi di aggiornamento dei contenuti (ogni 10 anni), che difficilmente riescono a tenere il passo con i rapidi mutamenti dei sistemi produttivi e delle competenze.
Negli ultimi anni, al sistema CP si è affiancato l’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni, gestito dall’Inapp. Il principale fine dell’Atlante è di popolare il Quadro Nazionale delle Qualificazioni Regionali (QNQR), che mette a sistema tutte le professionalità espresse nei singoli territori. Come facilmente ipotizzabile, la sovrapposizione tra le Qualificazioni regionali ed i profili Istat è elevata; per questo, il portale che ospita l’Atlante consente la referenziazione delle Qualificazioni con i codici CP. Il vantaggio dell’Atlante è quello di articolare competenze, conoscenze e abilità per ciascuna Qualificazione, offrendo un prezioso riferimento agli operatori del mercato del lavoro. Non a caso, la classificazione offerta dall’Atlante è stata scelta per il Sistema Nazionale di Certificazione delle Competenze ed adottata dai Fondi Interprofessionali, dalle Regioni (per gli interventi finanziati dal Fondo Sociale Europeo) e dalle iniziative governative (si pensi al Fondo Nuovo Competenze ed al Programma GOL), ossia per l’ampio spettro di interventi di formazione continua e di apprendimento permanente. Tra i limiti dell’Atlante invece figurano le differenze qualitative tra i Repertori delle Qualificazioni di diverse Regioni (ad esempio in merito all’esaustività e all’aggiornamento dei profili professionali presenti) ed una certa rigidità complessiva del sistema, nato per informare i percorsi lunghi di formazione e dunque meno funzionale per la formazione breve, tipica della formazione continua poiché incentrata su singole competenze.
Emblematico della ridondanza dei sistemi classificatori, nonché dell’assenza di una più ampia strategia sul relativo utilizzo, è il paradosso per il quale le statistiche ufficiali sul mercato del lavoro sono affidate alla tassonomia Istat, mentre l’attuazione degli interventi formativi e occupazionali, che sulle prime dovrebbero basarsi, fanno riferimento al QNQR. Non c’è da stupirsi dunque se le imprese si rivolgono di frequente a standard classificatori e di certificazione internazionali (es. Norme UNI), mentre le parti sociali, in sede di contrattazione collettiva, fanno affidamento a sistemi classificatori implementati ad hoc, giudicati più rappresentativi del patrimonio di professionalità dei propri assistiti.
I METODI DI INDAGINE DELLA DOMANDA DI COMPETENZE E PROFESSIONI
Il Sistema informativo Excelsior è la principale fonte di dati sulla domanda di lavoro in Italia. Gestito da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed Anpal, il sistema realizza indagini cicliche sulle previsioni dei datori di lavoro in merito ai fabbisogni professionali, formativi e di competenze. Esso risulta un prezioso riferimento per gli operatori del mercato del lavoro poiché informa sui settori ed i territori che esprimono maggiore domanda di lavoro, sui profili professionali più richiesti e sulle relative caratteristiche (es. classi di età, livello di istruzione, tipologie contrattuali). Conferiscono autorevolezza al sistema la rappresentatività dei dati – oltre 300mila imprese contattate all’anno in tutte le province italiane – e la continuità delle rilevazioni, condotte mensilmente. Un potenziale limite sta invece nel metodo di indagine impiegato: le dichiarazioni spontanee ed anonime dei datori di lavoro rischiano di essere influenzate dalla “desiderabilità sociale” e di sovrastimare l’entità del fabbisogno occupazionale.
Per mitigare tale rischio, nell’ambito del programma GOL l’Anpal ha implementato uno strumento che integra le informazioni previsionali di Excelsior con quelle fornite dalle Comunicazioni Obbligatorie di Istat, basate sulle assunzioni effettivamente registrate. Ciò favorisce una prospettiva più esaustiva sulla domanda di lavoro, informando anche sulla tipologia e sul numero di contratti attivati, l’entità degli individui interessati e il numero di datori di lavoro che hanno assunto. Inoltre, lo strumento utilizza i soli profili della Classificazione delle Professioni Istat che ricorrono nell’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni, operando una ulteriore connessione tra le tassonomie. Proprio questo approccio all’integrazione di tassonomie e metodi di indagine differenti rende lo strumento di Anpal una preziosa fonte informativa per gli operatori del mercato del lavoro, oltre che una buona pratica.
Tuttavia, i vantaggi di tale soluzione rischiano di essere parzialmente oscurati dalle moderne piattaforme di Labour Market Intelligence (LMI), una metodologia di analisi dei big data associati al mercato del lavoro. Nelle applicazioni più diffuse, si utilizzano tecniche di machine learning per l’elaborazione degli annunci di lavoro rintracciati online (es. su portali di recruitment, bacheche online di CPI e agenzie di recruitment private, siti aziendali), al fine di estrapolare le caratteristiche salienti della domanda di lavoro. I principali vantaggi rispetto alle soluzioni fin qui descritte sono essenzialmente due: da un lato, l’approccio bottom-up basato sullo scraping dei testi degli annunci garantisce la massima rappresentatività della domanda espressa dalle imprese; dall’altro, il lavoro degli algoritmi consente un aggiornamento costante dei contenuti, restituendo una istantanea pressocché in tempo reale. Questi due elementi, in effetti, appaiono irrinunciabili per l’analisi dei fabbisogni occupazionali nei moderni mercati del lavoro. Eppure, al momento in Italia non figurano soluzioni a guida pubblica basate su questa metodologia (Tabulaex, nata come spin-off dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, è stata recentemente acquisita dalla società leader del settore Lightcast).
In conclusione, per comprendere lo stato dell’arte e l’evoluzione della domanda di lavoro servirebbero soluzioni multi-metodo e integrate, nonché ricettive delle innovazioni più attuali; più in generale, servirebbe una strategia sull’utilizzo di tali evidenze per la programmazione delle politiche formative ed occupazionali, nonché a supporto della più ampia politica economica ed industriale.
Nel nostro paese però sembra aver prevalso un atteggiamento autoreferenziale delle istituzioni, che ha portato alla proliferazione di strumenti e ad una forte confusione in fase applicativa. Auspichiamo che il tentativo isolato di Anpal sia da stimolo per uno sforzo congiunto di tutte le parti interessate al fine di definire una metodologia condivisa. La posta in palio è alta.