La recente pubblicazione del libro “Le grandi dimissioni” della sociologa Francesca Coin ha riaperto il dibattito sul cosiddetto rifiuto del lavoro ed in generale sul rapporto tra questo e la vita privata.
Il tema è estremamente complesso e controverso e meriterebbe una riflessione molto seria, cosa non molto comune per la verità nel nostro dibattito pubblico.
Ad una prima lettura del libro, emerge intanto che a rifiutare il lavoro sono quelli che possono permetterselo. Non a caso, le dimissioni in crescita dell’anno scorso sono da ricondurre in gran parte al passaggio ad un altro lavoro. Ci si dimette per lo più perché non si apprezza l’azienda presso cui si lavora e/o per le condizioni remunerative offerte. Se è così, non siamo di fronte ad un crescente rifiuto del lavoro in sé – come sembra suggerire l’autrice – ma di ben altro.
Ulteriore appunto che mi sento di fare al libro: si trova quello che si cerca. Se si cercano – per necessità – lavori pagati male, spesso insopportabili, e rapporti tossici, quelli si trovano. Sappiamo bene che queste situazioni esistono nel nostro Paese ed in alcune realtà lo sfruttamento è intollerabile.
La domanda che ci dovremmo fare è: che dimensioni hanno queste sacche di lavoro? Sono in crescita? E in quali settori sono più diffuse? È probabile che in tali lavori il rifiuto raggiunga i massimi livelli, ma che non si trasformi in dimissioni proprio per la difficoltà dei lavoratori a ricollocarsi o a trovare condizioni migliori.
E allora è questa la questione che andrebbe presa di petto.
Tutti gli attori, ed in particolare gli imprenditori, dovrebbero riflettere su come migliorare le condizioni di lavoro e la remunerazione delle prestazioni, progettando ambienti di lavoro che garantiscano dignità e sappiano costruire identità e senso di appartenenza.
Salvo Messina.
Presidente Solco