Come era facilmente ipotizzabile, il fenomeno delle “grandi dimissioni” ha segnato recentemente una forte battuta d’arresto. Con qualche ragione, da tempo sosteniamo che la crescita del fenomeno fosse determinata dalla particolare congiuntura economica, caratterizzata da un forte aumento dell’occupazione e da una crescente difficoltà delle imprese a trovare le professionalità richieste. Ciò ha determinato la scelta, di molti lavoratori, di cercare posti di lavoro più appetibili; se questo è vero, le dimissioni registrate non erano dunque da attribuire ad una astratta necessità di fuga dal lavoro, ma semplicemente al bisogno di trovare condizioni migliori. Inoltre, resto convinto che le dimissioni volontarie abbiano a che fare con l’entità delle opportunità disponibili nel territorio.
Alcuni dati. L’osservatorio INPS sul precariato ha registrato una riduzione del 3% delle dimissioni volontarie nel primo semestre ’23 (vedremo poi i dati a fine anno); la ricerca Global Workforce of The Future del Gruppo Adecco rileva che soltanto il 18% degli intervistati segnala l’intenzione o la speranza di cambiare lavoro, mentre il 71% pensa di mantenere la propria occupazione. La stragrande maggioranza dei lavoratori, dunque, ritiene utile rimanere dove si trova e chiede perlopiù percorsi di crescita professionale. I motivi per restare sono da ricondurre al bisogno di stabilità e sicurezza (20%), ad un buon equilibrio vita-lavoro (18%) ed al livello salariale (12%). Al contrario, chi vorrebbe cambiare lavoro lo farebbe per guadagnare di più.
Come si può facilmente intendere, i cicli economici influenzano le nostre scelte più degli aspetti psicologici. Questo ovviamente non può assolvere le aziende che non tengono nel giusto conto i bisogni e le aspettative dei lavoratori. Anzi, proprio al fine di “trattenere” i lavoratori, le imprese dovrebbero investire di più e meglio in formazione e nella costruzione di percorsi di sviluppo personalizzati. Molte ricerche empiriche mostrano che ormai da tempo la prima richiesta dei lavoratori è di essere inseriti in percorsi di formazione rilevanti. Penso che questo sia un aspetto ancora troppo sottovalutato.
Salvo Messina.
Presidente Solco