La Corte Costituzionale – con sentenza del 21 luglio 2025, n. 118 – ha ritenuto illegittimo il disposto normativo dove stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, legge n. 300/1970 (cioè, non occupi più di quindici lavoratori presso un’unità produttiva o nell’ambito di un Comune e comunque non occupi più di sessanta dipendenti), l’ammontare delle indennità risarcitorie «non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità» dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
Nel dettaglio, la Consulta ha precisato che l’imposizione di un simile limite massimo, fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento, aggiungendosi alla previsione del dimezzamento degli importi indicati all’art. 3, comma 1, art. 4, comma 1 ed art. 6, comma 1, del Dlgs. n. 23/2015 fa sì che l’ammontare dell’indennità sia circoscritto entro una forbice così esigua da non consentire al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato, né da assicurare la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro.
Inoltre, è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale – con sentenza del 18 luglio 2025, n. 111 – ha ritenuto incostituzionale il termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento intimato al lavoratore incapace di intendere e di volere.
Al riguardo, la Consulta ha confermato il termine massimo complessivo per l’impugnazione giudiziale del recesso datoriale, pari a 240 giorni decorrenti dalla data del ricevimento dell’atto.