L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha da poco pubblicato l’indagine “Digitalizzazione e invecchiamento della forza lavoro nelle PMI italiane”, che ci restituisce dati molto interessanti. Queste indicazioni meriterebbero grande attenzione e scelte politiche conseguenti, ma per esperienza ipotizziamo che il relativo volume si aggiungerà, più o meno inutilmente, ai precedenti nella nostra biblioteca.
Un primo aspetto interessante riguarda il tasso di invecchiamento complessivo della popolazione lavorativa nei diversi settori economici (comprese dunque le grandi aziende e le istituzioni). Gli over 50 si concentrano maggiormente nei Servizi alla famiglia (54%), nella Pubblica Amministrazione (51%) e nell’Istruzione (49%), mentre sono minoritari nel Commercio, nella Manifattura, nella Comunicazione e nei Servizi turistici, dove non superano il 35%. In alcuni settori strategici, dunque, la popolazione lavorativa ha un’età elevata e questo dovrebbe preoccuparci, considerando che essa tende ad essere meno aperta alle innovazioni e all’uso delle tecnologie. In assenza di grandi piani di assunzione e stabilizzazione, i lavoratori in forze dovrebbe essere destinatari di interventi formativi sostanziali per evitare di alimentare una resistenza passiva al cambiamento. A tal fine c’è da salutare positivamente la recente Direttiva del Ministro della Pubblica Amministrazione che prescrive un monte ore annuo non inferiore a 40 per ciascun dipendente pubblico.
Ma la ricerca getta luce anche su un’altra esigenza fondamentale. Nell’esperienza delle organizzazioni italiane si pone poca attenzione al passaggio generazionale di competenze e approcci lavorativi; i lavoratori vanno in pensione e non ci sono strumenti per evitare che il patrimonio di conoscenze da essi maturato finisca nel nulla. D’altra parte, sono poche le attività specifiche immaginate per accompagnare l’uscita graduale dal lavoro come la riduzione dell’orario, l’assistenza pensionistica o il supporto al coinvolgimento in attività extra-lavorative. La contrattazione collettiva nel 96% dei casi non prevede azioni o strumenti di questa natura.
La ricerca si concentra anche su altre questioni, ad esempio le percezioni di titolari o dirigenti delle PMI nei confronti degli over 50 ed i contenuti della formazione loro destinata in azienda. Gli over 50 sono percepiti come individui che potrebbero mostrare “deficit produttivi”, mentre al contrario progetti di integrazione con le altre coorti aziendali sarebbero utili a realizzare scambi e aggiornamento.
Relativamente ai contenuti della formazione, gli over 50 dichiarano di essere stati coinvolti in primis in percorsi obbligatori (salute e sicurezza, GDPR, etc.; 57%) e solo il 22% in corsi di informatica e digitalizzazione. Questo può spiegarsi anche in considerazione della ridotta capacità delle PMI di intercettare i propri fabbisogni formativi, che finisce per limitare ulteriormente l’apporto professionale della fascia più anziana dei lavoratori.
L’indagine sostiene dunque che “[…] le evidenze presentate delineano uno scenario complesso e in trasformazione che invita ad ampliare la prospettiva di analisi sull’invecchiamento attivo, spesso ancorato a questioni concernenti la salute, le penalizzazioni occupazionali, l’obsolescenza delle mansioni o a questioni previdenziali […]” (p.30). Lo scenario descritto dalla ricerca ci pone questioni rilevanti: avremmo bisogno di progetti strategici per supportare la popolazione over 50 nel loro rapporto con il lavoro, tenendo conto della multidimensionalità dell’invecchiamento attivo. Ma allo stesso tempo servono seri progetti di transizione in settori strategici per il futuro del nostro paese, per i quali il contributo delle nuove generazioni è la vera linfa vitale.
Salvo Messina
Presidente Solco