Infocamere per il Sole 24 Ore questa settimana ha pubblicato i dati relativi all’andamento dell’occupazione e delle imprese negli ultimi dieci anni. Dal confronto tra il 2014 ed oggi si possono apprezzare le notevoli differenze ed i grandi cambiamenti intervenuti sia sul versante dei lavoratori che delle imprese.
Intanto possiamo dire che a fronte di una notevole diminuzione del numero delle imprese (-128mila) abbiamo registrato un incremento dell’occupazione di 2,6 milioni di addetti. Dunque possiamo immaginare che questo abbia significato un rafforzamento del tessuto produttivo in favore delle imprese più grandi.
Il fenomeno ha riguardato in particolare il settore del terziario in tutte le sue accezioni, cui corrisponde una certa contrazione degli addetti nel settore manifatturiero (ma non nell’agroalimentare). Per fare un solo esempio: nel commercio le imprese sono diminuite di 157mila e gli occupati sono aumentati di 188mila unità. La nostra economia tende a terziarizzarsi sempre più e ciò non solo per la crescita degli addetti nella sanità e nei servizi alle persone, ma anche per l’aumento costante di funzioni terziarie all’interno delle stesse imprese manifatturiere e dei servizi di supporto e consulenza che lo sviluppo attuale impone.
Di fronte a tutto questo, associare il terziario alla sola precarietà risulta oggi sempre più un luogo comune da sfatare (basta pensare che nel terziario l’82% degli addetti ha oggi un contratto a tempo indeterminato). Certamente in alcuni ambiti del settore (commercio e ristorazione, per fare qualche esempio) permangono preoccupanti fenomeni di lavoro povero e ciò anche a causa di forme contrattuali atipiche come il part-time involontario.
Dunque diventa sempre più urgente valutare e discernere tra settori e sotto-settori, così da immaginare strategie e politiche mirate. Politiche capaci di sostenere processi di reale aumento del valore aggiunto per addetto e questo anche per consentire una contrattazione mirata ad aumentare le retribuzioni dei lavoratori.
Per fare ciò un ruolo importante potrebbe assumerlo la formazione continua, finalizzata all’introduzione di innovazioni di prodotti e di processo: si dovrebbero immaginare attività formative non episodiche, ma strutturate con approcci metodologici vicini all’affiancamento ed al supporto consulenziale.
In una città come Roma, dove il peso del terziario è ancora più forte, ci sarebbe bisogno dell’avvio di un progetto di largo respiro capace di attivare il ricco tessuto di imprese, centri di ricerca, enti bilaterali (partecipati dalle Parti Sociali) e Università. In altre realtà sono stati sperimentati progetti definiti “la città che impara”: si tratterebbe di immaginare un luogo dove ci si confronta, si condividono buone pratiche e ci si supporta reciprocamente nell’introduzione di innovazioni utili al miglioramento complessivo dell’economia e delle condizioni di vita dei lavoratori e degli stessi cittadini.
Salvo Messina
Presidente Solco