Più vado avanti e meno capisco la stranezza del nostro magnifico Paese. Problemi vitali per tutti noi rimangono confinati in una discussione tra esperti, con scarso impatto sulle decisioni politiche. La scorsa settimana il Decreto Flussi ha ammesso per il 2023 l’ingresso in Italia di circa 83.000 lavoratori non comunitari, a fronte di un numero di richieste di tre volte superiore (circa 240.000 le domande inoltrate dalle imprese). Addirittura, il recente Rapporto Excelsior sui lavoratori immigrati segnala che sarebbero 922.000 le entrate di personale straniero previste dalle aziende italiane per il 2022 (per giunta non considerando il lavoro agricolo e domestico). Al di là della discrepanza tra le previsioni delle imprese e gli ingressi effettivamente richiesti (seppur riferiti ad annualità differenti), il dato è lampante: c’è un gran bisogno di lavoratori stranieri. Oltretutto, il Rapporto Excelsior rileva che il numero di ingressi programmati è in continuo aumento, registrando un+47% (+295 mila unità in valori assoluti) rispetto al periodo pre-pandemico, ben superiore al +12% relativo al totale delle entrate previste.
Ma il fabbisogno di individui stranieri va ben oltre le esigenze del nostro sistema produttivo e riguarda l’intero sistema paese. In via prioritaria per la ormai non più rinviabile questione demografica: negli ultimi anni la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) con cittadinanza italiana si è ridotta di un milione di unità ed è destinata a diminuire ulteriormente nel prossimo futuro, in modo significativo. Se ragionassimo soltanto in termini assoluti si potrebbe rimanere tranquilli; con la stessa popolazione la Francia ha il doppio del territorio. Ma per noi il problema è che sta saltando il rapporto tra giovani ed anziani, ponendo serissimi problemi alle nostre prospettive di sviluppo, alla produttività e alla sostenibilità del sistema previdenziale.
Al di là delle necessarie politiche di incentivo alla natalità, per contrastare l’invecchiamento della popolazione nel breve e medio termine i demografi indicano una sola soluzione, ossia favorire l’ingresso di individui stranieri. Elaborare risposte politiche efficaci a tale esigenza dovrebbe divenire la priorità di qualsiasi governo, riconoscendone la funzione strategica per il paese; senza trascurare che simili vie legali di ingresso costituirebbero delle semplici misure di civiltà, utili ad arginare il dramma delle morti in mare e ad offrire a tali individui delle reali prospettive di una vita dignitosa nel nostro paese.
Infine un’ultima riflessione che a me pare centrale: il fabbisogno di lavoratori stranieri riguarda in larga parte attività esecutive e professioni operaie nei settori della logistica, edilizia, turismo e manifatturiero; comparti che registrano una elevata difficoltà nel reperimento di manodopera sul territorio nazionale. Questo non può che farci ragionane sul rifiuto di certi lavori da parte degli italiani. C’è un problema di remunerazione per queste mansioni? C’è una più ampia questione relativa alla qualità delle stesse? Chi deve rispondere a questi interrogativi?
Su tutte queste tematiche si dovrebbe aprire una grande discussione tra decisori politici (di vari livelli istituzionali e territoriali) e parti sociali, nell’interesse dell’Italia.
Salvo Messina,
Presidente Solco